#BecomingJane 25: il potere dei romanzi
Quanto è magico il dialogo segreto e – talvolta – silenzioso che lega i romanzi e le persone tra di loro? Quella sottile comunicazione d’inchiostro che permette alle storie cartacee ed umane di connettersi le une alle altre, tramite preziosi fili di sogno e parole? In questo episodio di #BecomingJane ne vedremo degli esempi.
Come ci ricorda Carlotta Farese, “la lettura era uno dei passatempi preferiti dalla famiglia Austen, i cui membri, insensibili all’acceso dibattito di inizio Ottocento sull’immoralità e la licenziosità del romanzo come genere letterario, si dichiaravano: «great Novel-readers and not ashamed of being so»”.
La passione per la letteratura era indubbia: in caso contrario, Jane Austen non sarebbe diventata una delle maggiori scrittrici inglesi di sempre; ma la sua passione per i romanzi, in particolare, emerge proprio nei suoi stessi lavori. Praticamente la totalità delle eroine da lei create sono indubbiamente delle appassionate lettrici e tale predisposizione viene presentata dalla Austen attraverso i loro dialoghi e le loro riflessioni interiori. Il panorama narrativo austeniano è costellato di tante appassionate lettrici il cui amore per la lettura è soprattutto un segno di distinzione caratteriale, quasi una spia per la comprensione del personaggio, e un’attestazione di stima e simpatia.
È possibile notare, nella narrativa austeniana, una sorta di crescita dell’idea del romanzo e del potere che questo tipo di lettura può avere nei confronti dei lettori. “Da Northanger Abbey a Persuasion, incontriamo una serie di lettrici e lettori che si dilungano in conversazioni letterarie e si scambiano opinioni e consigli sui gothic novels e sulle poesie alla moda di Scott e Byron“.
Il pericoloso potere dell’immaginazione colpisce per prima Catherine Morland, la protagonista de L’abbazia di Northanger, la quale si fa totalmente influenzare dalla lettura dei romanzi gotici che tanto ama leggere: I misteri di Udolpho, della romanziera Ann Radcliffe, risulta essere il romanzo che più di tutti permea la fantasia dell’eroina. Nel tentativo di diventare una delle protagoniste dei libri che legge, Catherine accetta l’invito di trascorrere qualche settimana dell’abbazia della famiglia Tilney, ma la sua permanenza sarà costellata da una serie di imbarazzanti equivoci – Miss Morland, infatti, tesserà trame oscure nei riguardi di vecchi mobili e frammenti di carta rinvenuti nella sua stanza e commetterà l’errore di considerare il padre del suo amato Henry Tilney responsabile dell’omicidio della moglie – che la renderanno infine consapevole della verità, ossia che la vita reale è ben diversa da quella descritta nei romanzi. Catherine Morland è dunque un personaggio protagonista che si lascia (almeno inizialmente) totalmente influenzare dai romanzi, scambiando la finzione con la verità.
Giunta alla maturità di Persuasione, la Austen non affida il ruolo del personaggio che si lascia avvolgere ed annebbiare dalla magia della lettura ad Anne Elliot, bensì ad un personaggio secondario (il capitano Benwick) che l’eroina può – con la propria consapevolezza – affrontare:
“E, avendo parlato di poesia, della ricchezza dell’età attuale, e paragonato brevemente le opinioni sui poeti più importanti, e cercato di stabilire se si dovesse preferire Marmion o La signora del lago, e quale posto attribuire al Giaurro e alla Sposa di Abido; e, soprattutto, come si dovesse pronunciare Giaurro, Benwick mostrò di conoscere così profondamente tutti i più teneri canti del primo poeta e tutte le appassionate descrizioni di disperata sofferenza del secondo; ripeté con tanto trepido sentimento i numerosi versi che descrivevano un cuore spezzato o una mente distrutta dalla sventura, e sembrò con tanta sincerità desiderare di essere compreso, che lei si azzardò a sperare che non leggesse soltanto poesia; e a dire che era la triste sorte della poesia essere raramente goduta in piena sicurezza da quanti ne godevano intensamente; e che i sentimenti profondi che soli potevano valutarla con acume erano proprio quelli che avrebbero dovuto leggerla con moderazione. E poiché lui non sembrava addolorato, ma compiaciuto da quella allusione al suo stato, Anne si sentì autorizzata a continuare; e, certa del diritto di una mente più adulta, non esitò a suggerire una maggior quantità di prosa nelle sue letture quotidiane; richiesta allora di scendere nei particolari, citò le opere dei nostri migliori moralisti, le più belle raccolte di lettere, le memorie di uomini stimabili provati dalla sofferenza, che le vennero alla mente in quel momento come le più adatte a ridestare e rafforzare la mente con i precetti più elevati e i più saldi esempi di pazienza religiosa e morale.“
In questo romanzo Jane Austen crea un vero e proprio capovolgimento delle parti (rispetto a L’abbazia di Northanger): il capitano Benwick è una sorta di Catherine Morland al maschile, mentre Anne Elliot incarna la prudenza e l’esperienza di Henry Tilney. Ed “alle letture vuote delle sorelle e di Captain Benwick, Anne contrappone una lettura solida e concreta; […] Attenta custode della biblioteca paterna e compagna ideale di Captain Benwick nelle conversazioni su Scott e Byron, Anne ha però raggiunto quella consapevolezza della frattura fra finzione e realtà così precaria nelle eroine austeniane precedenti [Marianne Dashwood, in particolare], tanto da essere lei a temere gli effetti dei pericoli dell’immaginazione letteraria in un uomo così incline alla poesia come Captain Benwick”.
Anne conosce i romanzi, ma non si lascia influenzare da loro! La medesima situazione la si ritrova in Sanditon: la giovane Charlotte legge romanzi, ma rimane saldamente ancorata alla realtà.
“Mr. Parker la incoraggiava a spendere, Charlotte cominciò a rendersi conto che doveva controllarsi – o, piuttosto, considerò che a ventidue anni non aveva scuse per agire altrimenti – e che non era il caso di spendere tutto il suo denaro il primo giorno. Prese un libro a caso, e le capitò in mano un volume di Camilla. La sua non era la giovinezza di Camilla e non aveva intenzione di sopportare le sue afflizioni, così voltò le spalle agli scaffali di anelli e fibbie, evitò ulteriori sollecitazioni e pagò quello che aveva comprato.“
Ciò non accade, invece, a Sir Edward Denham il quale si esprime quasi esclusivamente per mezzo di citazioni letterarie pompose e assolutamente fredde; il suo intento di apparire vagamente colto e interessante finisce quindi col perdersi in mezzo alla serie di parole che, non appartenendogli, non sono in grado di rappresentare la sua vera identità:
“Cominciò a parlare, con tono raffinato e coinvolgente, del mare e della spiaggia e inanellò con impeto tutte le classiche frasi che si impiegano per esaltarne l’eccellenza e descrivere le indescrivibili emozioni che accendono un animo sensibile. L’esaltante grandiosità dell’oceano in tempesta, la superficie limpida nella bonaccia, i suoi gabbiani e la salicornia, le profondità spettrali dei suoi abissi, i suoi fulminei mutamenti, le sue funeste insidie, i suoi marinai che lo sfidano nel sole e vengono sommersi dalla tempesta improvvisa; tutto era stato rappresentato con scioltezza e passione. Luoghi comuni, forse, ma molto efficaci se prodotti dalle labbra di un affascinante Sir Edward, ed ella non poté fare a meno di pensare che era un uomo sensibile, finché non cominciò a sconcertarla con l’abbondanza delle sue citazioni e l’oscurità di alcune frasi. […] Ella cominciò a pensare che fosse un vero e proprio stupido. […] Sembrava molto romantico, molto preso da qualche sentimento, e molto amante di quei termini forti tanto in voga; non aveva una mente molto lucida, presumeva Charlotte, e parlava per lo più a pappagallo.”
L’influenza della lettura sul carattere di Sir Edward viene in seguito definitivamente confermata dalla voce dell’autrice, che afferma:
“In realtà, Sir Edward, che le circostanze avevano confinato per molto tempo nello stesso posto, aveva letto troppi romanzi sentimentali. La sua immaginazione era stata subito catturata dai brani più appassionati e discutibili di Richardson, e da allora quegli autori che avevano seguito le orme di Richardson, riprendendo il motivo dell’uomo risoluto a dare la caccia alla donna a dispetto dei sentimenti di lei e delle circostanze, avevano occupate gran parte delle ore che egli dedicava alla lettura e avevano plasmato il suo carattere.“
Charlotte Heywood prosegue dunque la strada che Jane Austen aveva già fatto percorrere ad Anne Elliot in Persuasione, dove l’autrice “pare sostituire alla lettura come fuga dalla realtà, una consapevolezza che dia un ruolo alle donne, senza nasconderle solo dietro il mondo fittizio dell’immaginazione letteraria, in modo che alla passività della lettura contemplativa subentri l’azione, la voglia di fare, magari la voglia di scrivere”.