Recensione: “Storie di geni e di fate”, di Charlotte Brontë
Tre racconti giovanili compongono questa antologia preziosa, pubblicata in occasione del bicentenario della nascita della scrittrice inglese Charlotte Brontë. Si tratta di tre chicche letterarie che mettono in luce una sfaccettatura della produzione dell’autric
e del tutto inaspettata per i lettori che hanno amato capolavori come “Jane Eyre” o “Shirley”. Estrapolati da quello che la stessa Charlotte – insieme alle sue sorelle Anne ed Emily e al fratello Branwell – definì come ‘Il Ciclo di Angria’ (ovvero un insieme di racconti, composti a otto mani, ambientati in un universo favoloso e mitico, d’invenzione brontëana), le tre perle di questa breve collana si presentano come delle fresche favole, terreno nel quale la penna di Charlotte ha potuto sperimentare, affinarsi e divertirsi.
Ne “Un’avventura” e ne “La ricerca della felicità” sovrastanti e pregnanti sono gli accenni favolistici, mitologici, che strizzano l’occhio a leggende nordiche e racconti irlandesi. Un mélange tra fantasia pura e contemporaneità storica sapientemente costruito fa da sfondo alle vicende di protagonisti calati in atmosfere sognanti governate da Geni e da Fate nelle quali non mancano riferimenti a personaggi concreti (come accade, ad esempio, per Napoleone – che compare in entrambi i racconti).
Ancora più particolare è il terzo racconto – “Le avventure di Ernest Alembert” -, un viaggio soprannaturale nel quale il protagonista Ernest
viene condotto in un regno incantato grazie alla guida e alle volontà di un essere fatato. Notevoli le moltissime, minuziose descrizioni e gli echi del pittoresco, sfruttato per mezzo di immagini e riferimenti naturalistici cari a questo movimento (è facile notare una connessione con le descrizioni paesaggistiche dei romanzi di Ann Radcliffe). Si tratta di un racconto visionario nel quale impalpabili immagini di sogno si intrecciano costantemente e in cui tutti i sensi vengono coinvolti.
Una breve raccolta che consiglio vivamente, una lettura scorrevole e intrisa di tenerezza che ci presenta un’autrice estremamente conosciuta in una veste che sarà difficile non apprezzare, anche grazie alla traduzione di Maddalena De Leo. Un’occasione per scoprire un lato di sé che Charlotte, nella sua produzione posteriore, scelse di abbandonare totalmente.
Pubblicato il 5 gennaio 2017 su inkbooks