La morte non è niente per noi, penso, perché quando ci siamo noi lei non c’è, e quando c’è lei non ci siamo più noi. Ecco cosa mi ha insegnato l’Università: Epicuro. Le pastiglie hanno un effetto epicureo.

Tornare sui passi sepolti, dare una nuova forma e una prospettiva differente alla luce che ha caratterizzato il nostro scorrere nel mondo – un divenire non sempre lineare, sovente ribaltato da incroci, dimenticanze e scelte comode – è un’eventualità che la vita, prima o poi, ci costringe a prendere in considerazione. Il dietrofrónt dell’esistenza di Guido giunge a braccetto con una notizia destabilizzante: la scoperta dell’avanzare della malattia tumorale di sua madre, un evento tragico che andrà assecondato, metabolizzato, affrontato senza possibilità di cedimento. Il protagonista di Qui tutto è fermo, romanzo di Matteo Edoardo Paoloni edito La Torre dei Venti – collana Borea – ha proprio questo incipit: il rientro in Italia del trentacinquenne, che abbandona temporaneamente Madrid e la sua compagna Guadalupe per ricongiungersi al nucleo familiare e, insieme, alla ricostruzione di un passato lasciato volutamente a stagnare nei meandri della dimenticanza.

Siamo una famiglia danneggiata, un esperimento fallito!

Nell’obbligato ritorno a una dimensione domestica Guido dovrà, infatti, fare i conti con quanto il precoce distacco e il chilometraggio geografico aveva allontanato dal suo presente, da un quotidiano che non tarderà a presentare il conto, a evidenziare le memorie, a ribaltare i paradigmi in bilico dei rapporti lacerati dalla comodità di una distanza vissuta senza troppa coscienza. Perché Qui tutto è fermo ci racconta che nulla, in realtà, resta davvero fermo – e che tutto ciò che sembra immobile lo è soltanto in apparenza, lo rimane soltanto per il tempo del confronto definitivo (un confronto che la vita e le sue curve non temono affatto).

Hai un problema con l’alcol?
No, ho un problema con la vita, Guido, e l’alcol a volte mi aiuta a dimenticarlo.
Ok, hai un problema con l’alcol.

Un romanzo di flashback e di attimi presenti, nel quale le proiezioni del futuro sono tutte nelle mani del protagonista e delle anime che ruotano attorno ai suoi gesti, al suo perdonare (e al suo perdonarsi), al suo tentativo di dare una spiegazione a quel che è accaduto con l’augurio di poter affrontare al meglio l’ignoto che lo aspetta. Una storia che si ripercorre mentre si presenta al lettore per la prima volta e che permette, in questo ripasso degli eventi, sia a Guido sia a noi, di considerare gli avvenimenti e gli incroci dell’umana cronologia come un monito da non dimenticare, una prospettiva grazie a cui interpretare i nostri fantasmi, assegnare un suono ai silenzi, scoprire un’ombra che avevamo scelto di non calpestare.

Matteo Edoardo Paoloni mette su carta la storia di una famiglia, l’emotivo racconto di un’amicizia giovanile imbevuta di chiaroscuri, il progredire della malattia, il binomio fiducia-compromesso che sospinge e bilancia le relazioni d’amore, il peso del non-detto, il valore prezioso degli affetti fraterni, l’importanza del lasciare andare per confidare in una nuova partenza. La partenza dell’andata e la partenza verso il ritorno, in un movimento spontaneo che scardina l’idea – spesso generalista – che tutto, nel nostro quotidiano, sia fermo e immutabile.

Te lo posso dare un consiglio, sorellina?
Ho deciso di prendere il suo silenzio per un sì.
Nei limiti del possibile, cerca di non dare mai niente per scontato, ok?

 

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