“La sorella minore II”, di Catherine Hubback – la recensione
Dopo l’approfondimento uscito qualche giorno fa (potete recuperarlo qui), teso a spiegare le ragioni che hanno portato la pubblicazione de “La sorella minore” in tre volumi – se volete scoprire che cosa sia un Three-Volume Novel, vi consiglio caldamente di leggere l’articolo – ecco giunto il momento della vera e propria recensione, della mia personale opinione di lettura. Premetto che, tra i vari incompiuti – o opere minori che siano – di Jane Austen “I Watson” ha sempre occupato un posto di particolare preferenza nel mio animo da janeite.
Gli occhi non abituati alla luce possono essere abbagliati con facilità.
L’inizio del secondo volume ci catapulta di nuovo tra i pensieri e le leggiadre peripezie dell’eroina inizialmente creata dalla penna austeniana (Emma Watson) e che, grazie alla dedizione e alla fantasia della nipote Catherine Hubback ha potuto proseguire sul terreno della narrativa. La prima annotazione che mi sento di proporre è legata al linguaggio e allo stile narrativo: aderente – e come potrebbe essere altrimenti? – al periodo storico e, da quello che le fonti ci riportano, in linea con le iniziali idee della zia, questa prosecuzione del romanzo interrotto a causa, in primis, del dolore generato dalla morte del Reverendo Austen, risulta godibile e fluido. La scrittura della Hubback – come saprà chi ha già letto il primo volume – resta abbastanza fedele allo stile asuteniano, ma ingloba con armonia qualche guizzo del tutto personale.
Un parterre di personaggi femminili fa da contorno alla narrazione: sono, spesso, proprio le donne a portare avanti scelte, a prendere decisioni, a opporsi e a replicare. Su tutte, naturalmente, spicca la protagonista Emma Watson – una giovane fanciulla (anch’essa orfana da poco del padre, proprio com’era accaduto alla cara zia Jane) determinata e contro, della quale non ci si potrà che innamorare. Un secondo elemento che i più attenti non avranno fatto fatica a individuare è senz’altro l’eco di romanzi austeniani canonici – quali “Emma” e “Mansfield Park” – che compaiono nel testo, quasi fossero dei cammei o, più romanticamente, il modo della nipote di celebrare il lavoro letterario della zia.
È un’impresa ardua. Supponiamo che lei mi rifiuti! Allora mi ritroverei in un bel pasticcio. Cosa dovrei fare in questo caso, Howard?
Imparare a sopportare da uomo, mio caro signore!
A fianco di Emma troviamo le sue tre sorelle: Penelope, Elizabeth e Margaret. Tre caratteri in contrapposizione e tre Destini differenti che le vedranno occupare ruoli differenti nella società del loro tempo – talvolta anche con delle scelte e delle prese di posizione (e, in tal senso, la stessa Emma ne sarà esempio concreto) d’avanguardia.
Stava imparando a vedere la vita, i suoi doveri e le sue prove, sotto una nuova luce: aveva scoperto che la sofferenza non era una circostanza accidentale, come una malattia passeggera, da curare e dimenticare al più presto, ma la condizione della vita stessa, la pace era l’eccezione, e lei aveva già goduto della sua parte.
Non mancheranno, come ogni romanzo filo-austeniano “pretende”, i personaggi maschili (alcuni già conosciuti sia nell’incompiuto originale “The Watson” sia nel primo capitolo de “La sorella minore“) e le occasioni di fantasticheria in loro presenza. Ho molto apprezzato i rimandi, come già accennavo poco sopra, ad altre opere (Tom Musgrove non può che portare a Fanny Price e alle sue vicissitudini tra le mura di Mansfield), ma soprattutto la crescita che viene raccontata, esplorata e manifestata all’interno di questo secondo volume e che fanno de “La sorella minore II” un vero e proprio romanzo di formazione – che la zia Jane avrebbe davvero apprezzato.
Giunti alla conclusione del volume, la curiosità di comprendere in che modo le linee narrative andranno concludendosi permane – e questo non può che essere un buon segno. La scelta della tripartizione in volumi – com’era d’uopo all’epoca – gioca, in tal senso, un ruolo cruciale: il piacere dell’attesa, l’insorgenza di speculazioni, la possibilità di crearsi un’aspettativa che – e questo può accadere solo quando ci si confronta con la Letteratura – non verrà delusa.
Ci si dà appuntamento, dunque, al terzo e ultimo volume.
L’amore non è passato, né potrà.