“Monte Uccellino”, di Marco Bosio – la recensione
Ho un fascino per i giochi che fa la luce quando, incontrando un ostacolo, cambia la sua forma e si posa sulle cose donando loro l’inganno della vita.
Immaginate di passeggiare percorrendo con allegra spensieratezza un sentiero sterrato, la cui polvere si solleva invadente ad ogni passo, mentre il vostro sguardo – e, insieme, il vostro pensiero – si proietta sulla pacata luminosità del paesaggio rigoglioso. State seguendo le indicazioni conservate nel perimetro di una vecchia cartina, disegnata su pergamena – tanti, tanti anni orsono – dalla precisione di una mano di cui nessuno ricorda l’appartenenza. Voi, però, fortunati viandanti, la stringete tra le mani, ne ascoltate i suggerimenti, ne seguite le vie: è stato Marco Bosio a fornirvela e, grazie a lui, finalmente, dopo tanto camminare, dopo immensa attesa e dopo un briciolo di azzardo ecco che siete giunti sani e salvi al limitare di Monte Uccellino.
Monte Uccellino è una della ultime proposte d’inchiostro de La Torre dei Venti, nonché romanzo d’esordio di Marco Bosio, un giovane autore, un grande appassionato di libri e letteratura e un professionista nel settore editoriale. Monte Uccellino, però, non è soltanto un titolo; non si tratta nemmeno di un mero luogo immaginario nel quale ambientare una narrazione. Monte Uccellino, infatti, è un tuffo delicato che conduce indietro nel tempo, tra le memorie di una scrittura accorta, precisa, sfumata nei giusti punti; Marco, infatti, ci racconta una storia che ha il sapore della favola, il retrogusto della leggenda, l’incalzante ritmo di una ballata. Monte Uccellino è una nenia che incanta il lettore, rapendolo con movimenti sinuosi e delicati, con la sapienza di una Shahrazād che tesse storie partendo dalla semplicità.
Per essere felice gli bastava constatare, per esempio, che il seme sparso in primavera si fosse trasformato in zucca in autunno senza incidenti di percorso.
Approdati a Monte Uccellino – e dopo averne scoperto le viuzze, le campagne, le botteghe e le istituzioni – la prima sensazione che si è portati a provare è quella di un tempo che ha deciso di rallentare, tornando a una dimensione più intima e raccolta. I tipici siparietti dei piccoli centri abitati, delle ridotte urbanità, delle realtà rurali che spesso vengono relegate al folklore popolare, vengono qui descritti con acume e ironia dall’autore – il quale ci permette di incontrare uomini e donne tangibili, così semplici ma altrettanto veri da rimane a fianco a noi mentre scopriamo le loro vicissitudini.
Resta quindi impossibile non essere portati a sperimentare in prima persona le dinamiche relazionali – e, senza fare spoiler, segrete – tra Camillo e Teresa, gli screzi delle tre sorelle Grisetti (ammetto di aver avuto un debole per queste tre meravigliose zitellone per tutta la durata del romanzo!), l’aura di costante giudizio, il frivolo pettegolezzo di paese, i gesti e le realtà che muovono i forni infuocati, i mulini da nutrire con il grano mietuto, il chiocciare costante dei pollai che si amalgama al brusio di chi commenta sommessamente i peccati malamente nascosti dei partecipanti alle funzioni liturgiche.
La serenità dell’uomo dipendeva dalla consapevolezza che per ogni azione commessa, ci sarebbe stata una conseguenza. E così, grazie alla ciclicità della Natura di cui era diventato un abile interprete, giorno dopo giorno, si sentiva al sicuro. Sicuro che dopo la notte c’è il giorno, che se il frutto muore il suo seme, cadendo in terra, rifiorisce l’anno successivo, che l’ape in inverno si riposa e riprende il lavoro con il primo caldo.
Marco Bosio e La Torre dei Venti ci regalano una storia che riesce a essere confortante e che nel suo progredire va a chiudere un cerchio – un cerchio che ha la forma di un anello, di una Fede; un anello che viaggerà insieme a noi, di personaggio in personaggio, di luogo in luogo, di fraintendimento in fraintendimento per tutta la durata della narrazione, consegnandoci un finale che corona le speranze e sigilla con sapienza i legami tra la carta e le parole – gli stessi legami che, se valorizzati e posti sotto la luce più adeguata, sono in grado di dare il giusto senso al valore delle relazioni umane.
Ho imparato a sostenere il peso del mondo. […]
Quello che voglio dire è che a volte i problemi sembrano insormontabili perché non abbiamo il coraggio di affrontarli. Non perché lo sono effettivamente, ma perché crediamo che sia così. Spesso riteniamo che la soluzione migliore per risolvere il pensiero che ci affligge sia trattenerlo, in silenzio, dentro di noi, nella speranza che questo venga assorbito e digerito. Ma non è così. È un tarlo che ci consuma dall’interno, divora, scava e cresce, cresce senza sosta, alimentato da altri pensieri negativi. Ciò che si ingrandisce, però, è solo la percezione che abbiamo di quell’animale, perché non lo vediamo. Ma un tarlo rimane un tarlo, ne ha mai visto uno? È un esserino minuscolo che si ciba del legno. Se il nutrimento viene a mancare, il tarlo è costretto a sloggiare. Il suo tarlo, Camillo, si ciba della sua negatività e più ne trova più si sente a casa. Lo deve scacciare, per non farsi opprimere dal peso del mondo. E cosa si fa quando non siamo in grado di sollevare un oggetto pesante? Chiediamo aiuto, più braccia significano più forza. Se il peso è condiviso, il carico diventa più leggero e di conseguenza anche la negatività che ci schiaccia diminuisce. Il tarlo alla fine deve uscire allo scoperto, perché non ha più niente di cui cibarsi. Ed è allora che, visto dall’esterno, ci si rende conto che altro non era che un cosino non più grande di un’unghia.
Dati tecnici:
Autore: Marco Bosio
EAN: 9791280053220