“Disincanto” e l’importanza dell’abbandono delle aspettative
Così si compie il volere della storia: nel costante fluire tra realtà e artefatto, tra aspettativa e disincanto.
Bentornati lettori! Oggi sono più emozionato che mai perché sto per proporvi un articolo interamente dedicato al mio nuovo romanzo, uscito il 18 maggio 2020 sotto l’ala protettrice della casa editrice Literary Romance. Sto parlando di Disincanto, il mio quinto figlio di carta, un libro che ho deciso di ambientare nella mia amata Inghilterra, in una realtà fittizia di metà Ottocento. Ebbene sì, sono tornato nella verdeggiante, piovosa e confortante campagna inglese; questa volta, in compagnia della famiglia Hardy.
Margaret Hardy, l’eroina di questa vicenda, è apparsa nella mia fantasia in un momento della vita non semplicissimo: molte di quelle che credevo fossero delle giovanili certezze stavano crollando, poiché poste a confronto con la quotidianità, la matericità dei problemi, la consapevolezza del tempo che scorre. Ero, con ogni probabilità, in una fase di crescita del mio percorso quando la signorina Hardy si è palesata ai miei occhi con la sua storia.
Il valore delle lacrime è sempre mutevole. La sostanza è la medesima: piccola rugiada salata che si insinua tra le guance, gettandosi a terra; è ciò che spinge le lacrime a scendere – la felicità o la tristezza – che le differenzia le une dalle altre.
Io e Disincanto non abbiamo legato nell’immediato: ci sono volute tre riscritture dei primi capitoli per trovare l’equilibrio giusto tra quello che Margaret Hardy voleva raccontarmi e quello che io stesso mi ero posto come obiettivo di questa storia – ovvero raccontare dell’importanza che l’abbandono delle aspettative ha all’interno di un ciclo di crescita individuale. Ho tentato tre inizi, proprio come accadde a Charlotte Brontë; questa fatalità mi ha sempre strappato un sorriso.
Ogni volta che penso alla scrittura annego. Sono trascinata in un vortice di sillabe slegate che giocano a nascondersi e riapparire tra onde minacciose d’inchiostro che brucia negli occhi. Sono senza direzione, priva di una meta, sconnessa dalla Stella Polare. Il cielo è un diario strappato che non so ricucire, un gioioso lancio di coriandoli confusi nel carnevale a cui non posso più prendere parte. Il mio costume da poeta s’è rimpicciolito; le lacrime voraci dei rifiuti e delle stroncature ne hanno ridotto la taglia. Me ne rimane solo uno sbiadito, doloroso ricordo. Era il mio abito preferito, quello grazie al quale credevo di poter uscire per strada fiera, illuminata dalla protezione senza tempo delle stelle. Ora sono una nuda naufraga, macchiata di china indelebile in modo indecente. Su di me non si scorgono nitide catene di parole, ma solo confuse onomatopee prive d’attrattiva. Sono il sepolcro di me stessa, lo scrigno arrugginito senza chiave, lo specchio ossidato che non riflette più nulla di nuovo. Giaccio in attesa dell’alta marea nella mia pozzanghera sporca, dove ancora posso illudermi di scorgere l’ombra di una mezzaluna irriverente che non tenderà il braccio in mio soccorso. Diventerò parte umida e immobile di quel paesaggio senza attrattive e, seppellendo le mie lettere, mi addormenterò senza sogni svanendo nell’eco delle altre esistenze che vanno avanti. Siamo libri usati che nessuno ha mai sfogliato, siamo pagine ammuffite piene di avvertimenti ignorati sul futuro divenuto presente.
Poi, d’improvviso, io e Margaret Hardy – e, quindi, anche Disincanto – ci siamo compresi e vicendevolmente innamorati.
Così, ho preso parte al trasferimento e al trasloco della famiglia Hardy, sperimentato il disarmo di Margaret, ho vissuto l’abbandono della dimora della sua infanzia, il suo confrontarsi con un altrove, con il tentativo di rinascere e con la scoperta del miracoloso potere del disincanto.
«Temo le aspettative, vorrei non esistessero.»
«E perché mai? Le aspettative alimentano la naturalezza di quello che facciamo.»
«Non sono d’accordo, signore. Se potessi, vorrei liberare la mia vita da ogni genere di aspettativa; sono come un veleno che lentamente infetta ogni attesa, legando ciascuna azione a una speranza spesso vana e distante da un esito concreto. È pericoloso vivere affidandosi alle aspettative: sono sirene che da principio ammaliano, posticipando di poco la loro definitiva, maliziosa cattiveria.»
Vivere una vita al riparo dalle aspettative, proteggere se stessi e le proprie passioni più profonde dalle loro lusinghe vanesie è uno dei maggiori insegnamenti che scrivere e partorire Disincanto mi ha lasciato e che sto cercando di portare quanto più posso anche nella mia quotidianità. Un romanzo che affronta anche tematiche particolari per una storia ambientata in periodo vittoriano, ma che credo possano coesistere in un contesto simile, se circoscritte e contestualizzate con le sembianze di una creatura di carta e inchiostro.
Il mio disincanto ora, grazie a Disincanto, è anche di tutti voi – se vorrete immergervi tra le sue righe, accompagnando Margaret Hardy nel viaggio che la condurrà tra le sue pagine e, soprattutto, alla consapevolezza di sé.
Un ultimo appunto va alla dedica di questo mio quinto romanzo: ho deciso di dedicare Disincanto a Emily, la mia gatta, la mia “discreta compagnia”, come la descrivo sempre. Una compagna pacata e inaspettata del mio ultimo anno di vita, un anno davvero delicato e denso, molto particolare e concretamente difficile, che Emily – con i suoi miagolii e la sua personalità – ha vissuto insieme a me.
Grazie sin da ora a tutti coloro che affideranno il proprio tempo, l’immaginazione e la speranza alle pagine di questa mia nuova storia. L’augurio più grande è che ogni riga possa essere portatrice di accorte carezze e empatia.
L’umanità raramente vede, il più delle volte immagina.