“Tutto questo tempo”, di Nicola Ravera Rafele (Fandango Libri) – la recensione
Tutto questo tempo di Nicola Ravera Rafele è una delle ultime pubblicazioni Fandango Libri, entrato nelle librerie e nei cuori italiani a ottobre 2019. Idealmente suddiviso in tre parti, questo romanzo mantiene e rinforza man mano un unico, lungo fil rouge narrativo ed emotivo che lega i protagonisti di quella che non stenterei a definire una trama generazionale. L’avvicendarsi delle peripezie – concrete e psicologiche – che muovono i personaggi di questo romanzo viene scandito dalla successione degli anni in cui le vicissitudini si animano: sebbene la trama si svolga in un arco temporale maggiore (che viene presentato ai lettori per mezzo di numerosi flashback chiarificatori), idealmente la storia racconta quanto accade tra il 1986 e il 2019.
I capostipiti – se così vogliamo definirli – di questa trama sono Elisa e Giovanni, due coniugi che, proprio nel 1986, diventano genitori di Clara. Da questa felicità prenderà il via una carrellata di altrettanti eventi, più o meno concatenati tra loro, che segneranno la stabilità coniugale svelando, invece, una precarietà insita in ciascun personaggio, ma rimasta latente fino a quel momento.
Giovanni Luna è uno scrittore e, proprio come raccomanda ogni cliché, è abitato dal tormento, dall’insoddisfazione, dalla necessità di specchiarsi nell’opacità delle sue pagine – pagine che, talvolta, faticano a colmarsi d’inchiostro.
Iniziò a scrivere senza pensare. Era il suo modo di fare ordine, l’estremo tentativo di ritrovare la voce. […] Metto insieme i ricordi che appartengono a troppo tempo fa. Ero un’altra persona. Non si dovrebbe avere il diritto di ricordare quello che ha fatto un’altra persona. Forse non si dovrebbe mai ricordare nulla, ma vicere in un oblio stupido, strappare ogni pagina dopo averla letta. La memoria mi ricatta.
È curioso constatare come proprio il ricordo e la memoria (che sono elementi fondamentali di tutto il romanzo) vengano presentati proprio nelle primissime pagine con questa sorta di desiderio di lobotomizzazione settoriale della mente del protagonista maschile. Al contempo, è altresì curioso sottolineare quanto la volontà di distaccarsi dalla presenza costante del ricordo nelle vite di ciascuno sia in contraddizione con molti degli atteggiamenti che i coniugi Luna portano avanti: sia Giovanni sia Elisa, infatti, sono fondamentalmente dei bugiardi. Allenati dalla vita alla menzogna, sfruttata come scudo sociale, entrambi vivono nell’idea che
la verità è una bugia che non è ancora stata scoperta.
Se, inizialmente, la costruzione di una fittizia barriera sentimentale e sociale sembra funzionare, con lo scorrere del tempo (di Tutto questo tempo, per l’appunto), Elisa e Giovanni si ritrovano faccia a faccia con la concretezza delle loro esistenze, con il peso di quanto rimasto taciuto, del non detto:
Era un peccato veniale l’omissione, oppure no? […] La nausea che non se ne andava e, lo sapeva, non se ne sarebbe andata. Non il giorno dopo, non quello dopo ancora. Era il malessere che lasciano gli atti mancati, un vuoto, una fame. […] Davvero credi che siano sinceri, i tradimenti?
A mano a mano che la lettura prosegue, il lettore si rende conto che sta assistendo a una vera e propria parata di menzogne. Non sono solo i due protagonisti a vestirsi delle loro bugie per dare brillantezza e splendore a una vita dichiaratamente insoddisfacente e mediocre; anche tutto l’entourage amicale si ostina a seguire una direzione simile, a ricercare – millantandola – una mitologia degli affetti inconcretizzabile. E in questo inseguimento vano, il tempo continua a scorrere, lasciandosi alle spalle le verità e le bugie:
Erano felici? Elisa non avrebbe saputo dirlo. Lo erano stati, tutti insieme, e ognuno per conto proprio. Pensare che erano stati un gruppo di amici la fece sentire improvvisamente vecchia: era un’idea che dava corpo a un passato.
E il tempo che scorre – in Tutto questo tempo – la realizzazione della caducità, la consapevolezza del trapassato, l’accumularsi di pagine e memorie (quelle che prenderanno vita nei diari di Giovanni Luna, ad esempio), ci conducono, tenendoci per mano, nell’avanzare degli anni, agli appuntamenti col Destino dei personaggi che stiamo imparando a conoscere.
Avevano ricostruito con pazienza un calore attraverso la ripetizione dei gesti. La ripetizione anestetizzava il tempo che avevano attraversato separati. […] Erano più attenti, si trattavano come materiale incandescente. […] Mi chiedo chi abbia inventato un’attività detta “passatempo”, visto che il più grande problema degli esseri umani è non farlo passare.
Ma il tempo ci attraversa inesorabile, lasciando segni indelebili nei nostri calendari della vita: la famiglia Luna si amplia di nuovo, con l’arrivo di un secondogenito – Dario – che avrà un ruolo incredibilmente cruciale nella seconda metà del romanzo. La tematica della famiglia, la ciclicità delle situazioni matrimoniali, all’interno di Tutto questo tempo, sembra quasi avere un ruolo preciso: quello di sottolineare con forza il valore inevitabile di questi cicli, il volerli confrontare con la stagionalità naturale al fine di evidenziarne le differenze sostanziali – quelle derivanti dalla valenza fittizia di quelli umani e dall’onesta semplicità di quelli naturali.
Il suo matrimonio (tutti i matrimoni?) si era rivelato una partita di biliardo, ogni palla mossa da altre, e da sponde e da rimbalzi mal calcolati. […] La scoperta che ogni esperienza è deludente, che in fondo è soltanto domenica sera, la luce che scema fuori dalla finestra e gli avanzi da mangiare prima di andare a dormire. E quando gli adulti ripetono “Ma perché piangi, ti sei divertito” mentono e negano l’evidenza: che quel pianto ti accompagna tutta la vita, si trasforma in collere e nevrosi, cucchiaini di gelato in piedi davanti al frigo e quell’ultimo bicchiere di prosecco sgasato mentre sparecchiano.
La scoperta dell’infelicità è un tassello fondamentale della vita dei personaggi di Tutto questo tempo: è solo per mezzo di questo giro di vite che noi lettori capiamo appieno che questo romanzo ci vuole parlare dei fallimenti di un’intera generazione e delle conseguenze che tali fallimenti generano nelle generazioni successive. Dalla seconda metà del romanzo in poi, infatti, anche le “seconde generazioni” – i figli dei personaggi che abbiamo imparato a conoscere nelle prime centocinquanta pagine circa – avranno il loro posto sulla scena, giocheranno le loro carte nella sfida della vita, sfidando – prima di tutto – proprio l’infelicità:
Nulla di quello che sono è originale, posso invertire gli addendi, scompigliare i difetti, ma rimango sempre l’assemblaggio di due genitori sbagliati. La specie non evolve, sono una figlia stagnante. […] Il problema dei bambini infelici è che da grandi non hanno un posto dove voler tornare.
Ma sarà proprio passando attraverso l’infelicità che i domani potranno, forse, apparire meno nebbiosi e le direzioni del futuro si apriranno ad un orizzonte inedito, a un tempo fuori dalle mappe da raccontare con la voce di chi è sempre stato in silenzio, di chi ha osservato – comprendendo – e agito – talvolta sbagliando; di chi, come un paper boy, si descrive così:
Sono stato educato al contenimento delle emozioni. Io sono quello che non c’è mai, quello in silenzio, quello fuori dall’inquadratura nella foto.
e che realizza la verità più grande – facendo un baffo a Tolstoj:
Possibile che cambi a tal punto la percezione degli adulti, crescendo? Crescendo, iscrivendosi allo stesso club, voglio dire. […] La famiglia è un sistema chiuso votato al disordine […]. Non è vero che esistono le famiglie felici e quelle infelici. Esiste la condanna della freccia del tempo.
Un romanzo, quello di Nicola Ravera Rafele, che è stato capace di donare diverse stilettate emotive al petto durante la lettura. Una buonissima prova d’autore, una scrittura intensa e tangibile, molto legata alle immagini, ai profumi, alle sensazioni da tastare. Tutto questo tempo si congeda al suo lettore con un’ammissione, un ultimo messaggio rimasto nascosto nella bottiglia fino all’ultima onda, fino all’ultima pagina:
Non posso dire che raccontare una storia voglia dire mettere a posto i pezzi.
Forse proprio perché questi pezzi sparsi senza una razionalità sono gli unici tasselli con i quali possiamo sperare noi stessi di ricomporre la storia che vivremo – e non racconteremo – in prima persona.
Ringrazio di vero cuore Fandango per avermi permesso di leggere con estrema gioia Tutto questo tempo, dandomi la possibilità di conoscere una penna della quale ho segnato pensieri e inclinazioni. Ringrazio Gabriele di @a_tuttovolume_libri_con_gabrio per avermi voluto nella squadra del #RafeleGDL e tutti i miei compagni di viaggio coi quali ci siamo confrontati ed emozionati: @luca_massignani, @labibliotecadelcorsini, @libridimarmo, @readeat_libridamangiare, @viaggiletterari, @lettriceperpassione, @bookislifeoriginal.
Con l’augurio di avervi incuriosito circa questo nuovo libro, vi auguro buonissime letture e mi congedo lasciandovi una scheda tecnica di Tutto questo tempo.
- Titolo: Tutto questo tempo
- Autore: Nicola Ravera Rafele
- Editore: Fandango Libri
- Data di Pubblicazione: Ottobre 2019
- EAN: 9788860446329
- ISBN: 8860446325
- Pagine: 298
- Formato: brossura
Il mio voto: 4/5 stelline