#LeggendoClarissa 3: tra rinnegamenti, lasciti e proibizioni
#LeggendoClarissa 3 [lettere 12-15]
La reazione di Anna Howe al categorico di rifiuto dell’amica Clarissa nei riguardi del presunto interesse verso il signor Lovelace è di stupita partecipazione: “Lasciatemi congratulare con voi, peraltro, per essere la prima del nostro sesso di cui abbia mai sentito che è stata capace di trasformare a proprio piacere quel leone – l’Amore – in un cagnolino da grembo“.
Che le donne dovessero cedere alle lusinghe degli uomini e provare un senso – se così si può dire – d’onore verso un interesse amoroso era pensiero consueto e assodato nel Settecento. Clarissa Harlowe, dunque, in tale circostanza ci appare come un’eroina della femminilità, una sorta di figura alla ricerca dell’emancipazione che riesce a domare l’amore di un uomo che semplicemente non le interessa. Ad avvalorare l’intuito della nostra eroina viene in aiuto una conoscente della signorina Howe, la signora Fortescue, la quale afferma senza mezzi termini che Lovelace – a detta di tutti – “è notoriamente, anzi, dichiaratamente, un uomo di piacere” – un libertino, in sostanza.
Nella medesima lettera, è la stessa Anna Howe a definirlo “nell’insieme […] un uomo pieno di difetti“, aggiungendo che “una persona desiderosa di considerarlo in una luce favorevole spererebbe che un uomo coraggioso, colto e diligente non possa essere per natura un uomo cattivo. Ma se egli è meglio di come i suoi nemici dicono che sia (e se è peggio, è cattivo per davvero!), è reo di una colpa imperdonabile, se è così indifferente alla sua reputazione“.
Ma ecco che, mentre la signorina Howe vergava la sua missiva, il signor Lovelace le faceva visita, chiedendole notizie di Clarissa (ricordiamo, infatti, che ella era impossibilitata a comunicare con chicchessia) e vagliando la possibilità di vedere ricambiato il suo sentimento. Anna Howe gli garantisce che non ne può avere. A questo punto, il nostro innamorato si lascia andare alle più “alte dichiarazioni di reverenza e affetto” nei riguardi di Clarissa; tali affermazioni bastano a mutare il parere della signorina Howe, che aggiunge qualche riga alla lettera poco prima conclusa, lasciando il lettore del tutto interdetto nei confronti della sua scarsa coerenza.
Mentre Clarissa attende risposte dall’amica (dobbiamo abituarci al fatto che Anna Howe non sia un’accanita corrispondente) possiamo leggere una lunga lettera nella quale ci vengono presentati alcuni dei motivi per i quali la famiglia Harlowe ritiene che il signor Solmes sia un partito eccezionale per Clarissa. La fanciulla torna su alcuni fatti solo accennati in precedenza – come il litigio e l’affronto di Lovelace nei confronti di suo fratello – per spiegare le pressioni genitoriali. Tali pressioni sono pressoché rivolte all’innalzamento del rango; viene, infatti, detto: “speranza anche troppo di frequente accarezzata, parte, da famiglie che avendo grandi sostanze, non hanno pace finché non abbiano conquistato anche rango e titolo“. A sottolineare ulteriormente il concetto, Richardson fa un paragone alquanto bizzarro, ma che rende l’idea alla perfezione:
“Un uomo che ha figli maschi alleva polli per la propria tavola, mentre le figlie femmine sono polli allevati per le tavole degli altri uomini“.
Clarissa ci racconta che, a seguito della morte del suo amato nonno, le era stata da lui lasciata in eredità una vasta proprietà e una cospicua dose di denaro. “Per stroncare dunque la gelosia universale, io cedetti all’amministrazione di mio padre non solo la proprietà, ma anche il denaro lasciatomi“. La sua posizione di figlia minore costano, quindi, a Clarissa la libertà, il possesso e la stabilità economica.
A metà della lettera, assistiamo a una nuova “metafora favolistica”, se così possiamo definirla; se, infatti, nell’episodio precedente di #LeggendoClarissa (potete leggerlo qui) avevamo paragonato Clarissa Harlowe a una sorta di Cenerentola settecentesca, ecco che qui sono le parole del fratello a presentarcela come una Sirenetta ammaliatrice. Che Samuel Richardson fosse appassionato di leggende e favole?
Clarissa si definisce piegata dalle prepotenze e dal controllo di suo fratello e di sua sorella (“se rifiuterò mi metterà in disgrazia con tutta la mia famiglia“): Arabella, addirittura, spinge sugli altri familiari affinché venga fissato un ultimatum alla decisione di Clarissa in merito a Solmes. “Se non mi adatto“, scriverà Clarissa, “[subirò] la perdita di tutti i miei beni e di tutto il loro affetto“.
Finalmente Anna Howe si degna di rispondere alle numerose lettere arretrate dell’amica Clarissa, ponendole una domanda cruciale: “Dove veramente si potrà trovare quell’uomo, munito della minima parte di doverosa diffidenza, che osi guardare alla signorina Clarissa Harlowe con speranza, o con altro che pii desideri?“. In tutta onestà, non credo che ella si aspetti una risposta; maliziosamente, al contrario, mi pare di scorgere una nota di sarcasmo in queste righe. Sempre più spesso, quando è Anna a scrivere, l’impressione è che il suo interesse nei confronti di Clarissa non sia né sincero né partecipato. Vedremo in seguito quali furono le intenzioni di Samuel Richardson. Ad ogni modo, la signorina Howe ci permette di leggere la sua interpretazione dell’atteggiamento di Arabella verso Clarissa: “veleni e pugnali sono spesso stati messi all’opera da animi infiammati dall’amore deluso e dalla vendetta; vi meraviglierete, dunque, che in tal caso i vincoli della parentela non abbiano forza, e che una sorella di dimentichi di essere una sorella?“.
Personalmente sì; me ne meraviglio.
Nel prossimo episodio vedremo che anche la madre di Clarissa cercherà di inserirsi in questa serie di tentativi persuasivi, puntando tutto sull’emotività della figlia. Clarissa cederà alla pietà materna o si farà forza della sua condizione di vittima incompresa, perseguendo ciò che il proprio spirito le consiglia?