#BecomingJane 15: la contesa per un buon partito
In questa puntata di #BecomingJane andremo ad analizzare alcuni aspetti che differenziano Emma Watson (per quel poco che – ahimé – ci è dato sapere) con una delle più note eroine austeniane: l’omonima Emma Woodhouse.
Il perché Emma Watson può essere assimilabile alla ben più nota Emma Woodhouse emerge soprattutto nell’idea che entrambe possiedono della vita matrimoniale e della necessità di sposarsi: la diciannovenne Miss Watson non ritiene indispensabile prendere parte in modo attivo e diretto alla contesa per l’accaparramento di un uomo ricco. Nonostante sia “una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di un ingente patrimonio debba essere in cerca di moglie”, Emma Watson non riesce ad essere d’accordo con quella che, secondo la Austen, è la naturale inclinazione femminile; al contrario, questa viene magistralmente incarnata – forse in modo eccessivamente stereotipato – dalla sorella di Emma, Elizabeth Watson:
«[…] un cuore ferito come il tuo non può essere ben disposto verso il matrimonio.» «E non lo è infatti, ma tu sai benissimo che dobbiamo sposarci. Per conto mio, da nubile starei benissimo: mi accontenterei di un po’ di compagnia, di un ballo, se si potesse restare per sempre giovani, ma nostro padre non può occuparsi di noi ed è terribile diventare vecchie e povere, ed essere derise. Ho perduto Purvis, è vero, ma quanti sono quelli che sposano il primo amore? Non rifiuterei un uomo solo perché non è Purvis.»
Per ciò che riguarda l’indole, invece, le due protagoniste non possono che apparire completamente separate. Emma Woodhouse, difatti, come afferma Trollope “in ogni passaggio del libro commette qualche follia, qualche gesto dettato da vanità o ignoranza – oppure qualche cattiveria. Oggigiorno non osiamo più creare eroine tanto modeste”. Emma Watson, almeno per quel che ne possiamo sapere, risulta, seppur sufficientemente decisa e irremovibile su determinati punti a lei ben cari, decisamente più moderata e “innocua” rispetto alla signorina Woodhouse; dopotutto, cosa ci si poteva attendere, se non un carattere affascinante e complesso, da quell’eroina che solamente Jane sarebbe stata in grado di amare?
Evidentissimi sono i richiami che riecheggiano nella mente quando si legge un simile passo (impossibile sarebbe non notare l’estrema vicinanza delle parole di Elizabeth con quelle espresse da Harriet Smith in Emma). “Spiritosa e vitale come l’altra Emma, protagonista dell’omonimo romanzo, ma non vanitosa come lei, né bugiarda; più energica di Fanny di Mansfield Park; più dinamica di Anne di Persuasione; la nostra eroina rifiuta il matrimonio per interesse. Non che non ne capisca la logica, non che idealizzi l’amore, ma questa Emma di questo romanzo incompiuto non vuole, non le va, e alla fine, secondo quanto Jane confidò a Cassandra, avrebbe declinato l’offerta dell’aristocratico Lord [Osborne] e cercato l’amore altrove”. Ecco, infatti, come Emma Watson affronta la totale convinzione della sorella in merito a tale questione:
«Sono dispiaciuta per le tue preoccupazioni», disse Emma, «ma […] la fissazione per il matrimonio, inseguire un uomo solo per sistemarsi: sono cose che mi turbano, non riesco a capirla. La povertà non è un grave male, ma per una donna istruita e sensibile non dovrebbe essere, non può essere il peggiore. Preferirei insegnare in una scuola (e non credo ci sia niente di peggio), piuttosto sposare un uomo che non mi piace.»
Elizabeth, che non crede possibile che una fanciulla possa decidere di autocondannarsi all’assoluta solitudine, replica (in maniera forse più diretta e decisa rispetto alla signorina Smith):
«[…] Neanche a me farebbe piacere sposare un uomo sgradevole, ma non credo ci siano in giro così tanti uomini sgradevoli: potrei tranquillamente affezionarmi a uno qualsiasi, purché in possesso di una discreta rendita e di un buon carattere. Immagino che l’educazione della zia abbia fatto di te un tipo piuttosto ricercato.»
Jane Austen, come abbiamo detto, considera il matrimonio come una delle tappe fondamentali della vita e dedica a tale celebrazione le conclusioni di ogni suo romanzo; a tal proposito, il romanziere William Somerset Maugham ha scritto: “ritengo che ci sia qualcosa da dire in favore delle persone semplici che guardano al matrimonio come al finale soddisfacente per un’opera di narrativa. […] Nei libri di Jane Austen la soddisfazione del lettore viene considerevolmente accresciuta col sapere che lo sposo ha una forte rendita proveniente dai suoi beni immobili e che porterà la propria sposa in una bella casa, circondata da un parco e arredata con mobili costosi ed eleganti”.