Recensione: “Cranford – il paese delle nobili signore”, di Elizabeth Gaskell
“Il paese delle nobili signore” – meglio conosciuto in Italia col titolo scelto dall’autrice: “Cranford” – è un romanzo che colpisce sotto molti aspetti. Il primo è senza dubbio legato alla scrittura: Elizabeth Gaskell utilizza uno stile abbastanza pulito e scorrevole e l’efficacia della scelta delle parole, unita all’ironia con la quale pennella i personaggi, consente alla costruzione generale dell’opera di coinvolgere il lettore, anche dopo quasi due secoli. Il secondo aspetto – forse il più importante – riguarda i protagonisti di questo romanzo; o, meglio, le protagoniste.
Poiché a Cranford (cittadina che dà il nome al testo gaskelliano) sono le donne ad avere il pieno controllo su ciò che conta, quel potere che è realmente importante. Gli uomini sono quasi del tutto assenti, relegati a voci di sottofondo o comparse; gli unici uomini del romanzo che possono influenzare le “nobili signore” sono i romanzieri, i letterati (si pensi ai pluricitati Dickens e Johnsson). Le donne rivestono un’importanza fondamentale e, alcune di loro, si fanno affiancare da uomini, senza però farsi schiacciare dalla loro virilità: le sporadiche presenze maschili sono, infatti, destinate in un modo o nell’altro a venir estromesse in tempi brevi dalla storia, investite, demonizzate o semplicemente allontanate.
Le attività commerciali, le decisioni matrimoniali, l’organizzazione delle feste sono tutte appannaggio del “gentil sesso”, il quale riesce perfettamente a eguagliare l’esperienza maturata dal genere maschile in secoli e secoli di prevaricazione e a superare gli inganni da loro tessuti (come accade, ad esempio, durante l’episodio del prestigiatore). Alcune di loro sono anche capaci di rinunciare totalmente alla necessità di prendere marito, rinunciando definitivamente al matrimonio in favore di una vita da zitella; zitella rispettabile, s’intende.
Un romanzo interessante sotto moltissimi punti di vista, riscoperto da poco anche in Italia, nel quale vale assolutamente la pena immergersi per scoprire, pagina dopo pagina, una storia diversa dal solito, ma che mantiene tutta l’efficacia e la delicatezza tipica dei classici inglesi.
Pubblicato il 18 febbraio 2015 su inkbooks