“Leggermente distopico”, di Paolo Pajer – la recensione
Era già stanco, nonostante fossero le dieci del mattino. Mentalmente stanco. Una vita passata alla ricerca del luogo sicuro, sul lavoro, in famiglia, con gli amici. Sempre cauto, sempre accorto e attento a non modificare troppo gli equilibri.
Qual è la preziosità del nostro tempo? Cosa può esserci di più contemporaneo e importante della salvaguardia della libertà? Quando si oltrepassa il confine tra l’inevitabile rispetto del libero arbitrio e si entra nel territorio del “patto col Diavolo”?
Probabilmente, se George Orwell fosse cresciuto e avesse scritto nel nostro – e del nostro – tempo avrebbe narrato le vicende di Leggermente distopico. Il nuovo romanzo di Paolo Pajer – pubblicato da La Torre dei Venti nella collana Borea – affronta proprio i temi della libertà e del tempo, del loro utilizzo e del loro sfruttamento, del loro valore sociale, culturale e (anche se non sempre ne siamo davvero consci) economico. Raccontandoci, con ironia, fluidità e un costante accenno di ansia le vicissitudini di un tipizzato – quanto generalissimo – Giuseppe Rossi, un uomo comune giunto a superare il temuto mezzo del cammin della sua vita. Lavoratore assiduo, cittadino onesto, padre di famiglia senza eccessivi fronzoli o inciampi sul passato percorso, Giuseppe Rossi appare come il perfetto protagonista per l’idea di romanzo che Paolo Pajer sceglie di proporre al suo pubblico ignaro.
Nell’ordinarietà del suo esistere, un giorno, il signor Rossi ha un’illuminazione e, insieme, un potente desiderio: nel giustificato timore di ritrovarsi – in futuro – privo delle energie necessarie per godere appieno del meritato, sospirato e agognato periodo della pensione, il nostro eroe decide di proporre alla propria azienda un accordo. Ricevendo un prepensionamento della durata di dieci anni, egli si dichiara disponibile a re-introdursi nel mondo del lavoro allo scadere di questo periodo di tempo – dopo aver, per l’appunto, sfruttato senza troppi acciacchi, impedimenti o stanchezza la finestra temporale della libertà e del riposo.
Gli impegni sono nostri fino a quando lo decidiamo noi.
Una prova, dunque, un tentativo inizialmente bizzarro e dagli esiti nebulosi ma al quale gli inquietanti dirigenti scelgono di accondiscendere, trasformando un inconsapevole Giuseppe Rossi in un vero e proprio esperimento sociale perverso e privo di scrupoli. La valenza perturbante – e a tratti macabra – che Rolando (questo l’altisonante nome scelto per denominare il prepensionamento del signor Rossi) verrà svelata man mano non soltanto a noi lettori, ma soprattutto al diretto interessato, inizialmente circuito con un inganno di burocrazia e fiumi di parole che lo porteranno a firmare “alla cieca” la sua stessa condanna.
Una pena che Giuseppe Rossi inizierà a scontare sin dall’inizio del suo periodo di aspettativa, quando le lancette dell’orologio cominceranno ad assumere un peso differente, una valenza fisica e metafisica, trasformandosi in un memento mori capovolto – come capovolta è la realtà che ci viene descritta per mezzo delle visioni fanatiche, complottiste e preoccupanti dei più alti membri dell’ANPS, l’azienda per cui Giuseppe Rossi ha lavorato nella prima parte della sua carriera e per la quale lavorerà allo scadere dei suoi dieci anni di libertà vigilata. Perché di libertà vigilata trattasi.
«Basta picchiare duro con i media per un paio di mesi, seminando il terrore, e la gente se la fa sotto per una cosa che non capisce, accettando con gioia qualsiasi salvatore mandato dalla Provvidenza che poi gli fa un culo così» disse Issavasi, ridendo di gusto. «E chi è la Provvidenza?».
«La Provvidenza siamo noi» rispose Gianfederici sghignazzando.
Ed è proprio in questi aspetti che più emerge la contaminazione orwelliana di Leggermente distopico: i tratti caratteristici della letteratura distopica e delle più note narrazioni appartenenti a questo genere (oltre agli ovvi 1984 e La fattoria degli animali, è possibile citare i più contemporanei Battle Royale di Koushun Takami o la saga degli Hunger Games di Suzanne Collins, ma anche una pellicola cinematografica come In Time, con Justin Timberlake e Amanda Seyfried) si uniscono all’idea autorale di Paolo Pajer di distopia familiare e culturale che permea le pagine del suo romanzo. Il controllo del corpo – anche per mezzo di strumentazione tecnologica, microchip e videosorveglianza -, la disumanizzazione dell’individuo e della sua intimità, la pervasiva necessità di monitoraggi clinici, la pressione psicologica sono tutte inserzioni che pongono la trama di Leggermente distopico su di un costante filo attraversato da elettricità: sappiamo che la scossa potrà arrivare da un momento all’altro – ma non possiamo prevedere né le tempistiche certe né tantomeno la potenza del voltaggio. Paolo Pajer, per accentuare ancor più questo senso di smarrimento e insicurezza, pone la distopia anche all’interno della famiglia del suo protagonista costruendo un impianto affettivo sbilenco e disequilibrato – oltre che, di nuovo, incredibilmente inquietante.
E questa inquietudine di sottofondo, a rifletterci, può derivare – in conclusione – da qualcosa di, forse, scontato, ma ineliminabile: la società costruita da Paolo Pajer in Leggermente distopico, per quanto volutamente macchiettistica, esasperata e surreale (ne siamo davvero sicuri?) non è poi così distante dalla contemporaneità che ci troviamo a vivere – soprattutto in questo biennio incancellabile e cancerogeno.
Forse, Giuseppe Rossi e Leggermente distopico possono davvero insegnarci qualcosa sul modo di assegnare il giusto valore alle cose, agli eventi, al susseguirsi inevitabile delle stagioni della vita. Forse la vera distopia sta proprio nelle esistenze di ognuno di noi; e, sempre con le dovute remore, sta a ciascuno di noi il tentativo di riappacificarsi con le personali distopie, ricordandosi di lasciare spazio anche – se non soprattutto – all’emotività, a qualcosa che pulsa, a quello che resta.
Non raccontiamo storie per scappare dalla realtà, ma per navigarla.
Dati tecnici:
Autore: Paolo Pajer
ISBN: 9791280053183