“Il mulino sulla Floss”, di George Eliot – la recensione
Il mondo non è fatto di penna, inchiostro e carta, e se vuoi progredire nel mondo, giovanotto, devi sapere come è fatto.
Il primo – grande – romanzo con cui ho aperto il nuovo anno di letture è stato un vero e proprio masterpiece della Letteratura: Il mulino sulla Floss, quarta narrazione firmata dalla penna di George Eliot (come molti sapranno, pseudonimo di Mary Ann Evans la quale, come spesso accadeva al suo tempo, dovette camuffare la propria identità dietro a una maschera maschile per poter liberamente esprimersi per mezzo della penna e delle parole), edito Neri Pozza, composto tra il 1859 e il 1860. Romanzo amatissimo già da Marcel Proust e Henry James, Il mulino sulla Floss rappresenta ancora oggi un caposaldo della cultura dell’epoca vittoriana e un valido contributo sociale, letterario e di pensiero in riferimento a elementi, tematiche e rapporti ancora attuali.
Se in apparenza, la trama di questo romanzo di George Eliot sembra concentrarsi sul reciproco racconto delle vite di due fratelli – Tom e Maggie Tulliver – è solo affrontando con dedizione, apertura e pazienza la mole di questa storia che ci viene concessa l’opportunità di scoprire tutte le sfumature che l’autrice ha scelto consapevolmente di inserire tra le righe, armonizzandole con coscienza alla trama principale. In tal senso, proprio come accade in altri romanzi accostabili a Il mulino sulla Floss e tipici di questa stagione letteraria – si pensi a Shirley di Charlotte Brontë o ai romanzi sociali di Elizabeth Gaskell – quello che appare evidente nella volontà della penna di George Eliot non è soltanto il mero intrattenimento d’autore, bensì il desiderio di dipingere un quadro di società e di restituire ai lettori un esempio lucido e distaccato degli abitanti del suo tempo (un intento perseguito con certamente meno guizzo e passione dal ben più osannato – incomprensibilmente! Forse, perché uomo? – William Makepeace Thackeray e dalla sua Fiera di Vanità).
Bisognerebbe forse avere di nuovo diciannove anni per credere davvero ai sentimenti.
E sono proprio i sentimenti, le prime scoperte dei come e dei perché all’interno della comfort-zone familiare a introdurre i personaggi principali della vicenda, tutti perfettamente immersi nel contesto territoriale che li accoglie. I luoghi, ne Il mulino sulla Floss, possiedono infatti una propria anima, uno specifico ruolo nel loro silenzioso relazionarsi con gli esseri umani – il mulino di Dorlcote, la cittadina di St. Ogg’s, la scuola di Stelling, il Bosco Rosso, lo stesso fiume (la Floss) sono tutti luoghi che, in un modo o nell’altro, giocheranno un ruolo cruciale nei cambiamenti di vita dei Tulliver. La Natura e i suoi ambienti si confrontano direttamente con l’umanità, che può talvolta scegliere di collaborare con loro o, in altri casi, arrendersi a un volere superiore immutabile.
I caratteri inziali, le ingenuità e le gesta infantili saranno, per forza di cose, destinate a piegarsi di fronte alle esigenze della crescita, all’insorgere delle responsabilità e al confronto – che spesso assumeranno le forme di uno scontro – con difficoltà sempre crescenti, che porteranno Tom e Maggie a increspare il loro legame, portandolo, in determinati episodi, a un livello così distaccato da generare nel lettore una silenziosa velatura di tristezza. Da un rapporto molto simile alla reciproca dipendenza (talvolta insana), i due fratelli saranno condotti – dalle scelte di vita, dai traumi dei loro percorsi, dall’incompatibilità dei rispettivi progetti – a un allontanamento che li vedrà emotivamente, moralmente e umanamente separati per moltissime pagine.
Sbocciò allora, nell’animo della povera ragazza, la prima gemma di una nuova consapevolezza, quella del dono del dolore, una sensibilità a certi semplici gesti di umanità che li eleva a vincolo di affettuosa solidarietà, come a quegli uomini esausti la cui sola presenza di un qualunque compagno smuove le più profonde sorgenti d’affetto. […] Erano entrati nella selva spinosa, e i cancelli dorati dell’infanzia si erano chiusi per sempre dietro di loro.
L’addio ai cancelli dorati dell’infanzia si presenterà alle vite e alle anime di Tom e Maggie in molteplici forme: le nuove responsabilità del fratello maggiore e le richieste familiari (di valore economico e sociale) cozzeranno – e qui comparirà la prima, grande incomprensione tra i due – con l’educazione sentimentale e domestica della sorella, l’indomabile Magsie (come viene teneramente soprannominata da Tom nei momenti di maggior empatia del romanzo). I ruoli sociali, da qui in avanti, e le distinzioni esistenti al loro interno, si manifesteranno con evidenza rendendo lineare la suddivisione del “mondo maschile” e del “mondo femminile” e di tutto ciò che, inequivocabilmente, dovrà rimanere appannaggio dell’una o dell’altra sfera. I due universi, come spesso accade – e non solo in Letteratura -, faticheranno a comprendersi e genereranno una serie di irragionevoli ricatti, esagerate prese di posizione, irrigidimento di un reciproco orgoglio coriaceo.
Giudichiamo gli altri a seconda dei risultati; e come potremmo fare altrimenti, se non conosciamo il processo che ha portato a quei risultati?
E gli esiti delle scelte e dei Destini di Tom e Maggie Tulliver ci appariranno sempre più vividi sulla pagina – negli obiettivi raggiunti e negli scivoloni evitati, nelle ingiustizie subite, nei fraintendimenti che arrossiscono – mentre la penna di George Eliot ci condurrà verso il congedo dalla sua Opera, verso le acque indomite e imprevedibili della Floss, il fiume che ha dato vita non solo al romanzo, ma anche ai suoi abitanti e che proprio a entrambi i mondi – quello della narrazione e quello di ciò che abita la narrazione – sarà irrimediabilmente connesso.
Non ci viene detto di preoccuparci per chi non ha paura, quando condividiamo lo stesso pericolo.
Un romanzo – Il mulino sulla Floss – nel quale i quadretti familiari, fatti di quei pettegolezzi ironici e talvolta cattivi (che strizzano l’occhio ai personaggi di Jane Austen o di Fanny Burney), delle ripicche a suon di danaro e interessi, si uniscono a quelle scene naturali e a quelle riflessioni malinconiche e profonde a cui ci può aver abituato Thomas Hardy. Un romanzo sì sociale, ma anche di formazione – dove la maturazione delle genealogie e la crescita anagrafica si muove di pari passo con la sedimentazione nel cuore e nell’anima di una consapevolezza etica, di una crescita morale che fiorisce appieno nel perdono e nel riavvicinamento dei due protagonisti, di un fratello e una sorella che persino nella Morte non furono divisi. È un quadro pressoché completo quello che ci viene fornito da George Eliot, un resoconto della sua epoca, del modo di agire, di pensare, di confrontarsi; ma, insieme, Il mulino sulla Floss rimane il prezioso e denso racconto di un duplice riscatto morale e affettivo, della pregnanza dei legami solidi, della caparbia e della coerenza, dell’insegnamento che – sempre – la Natura ripara ciò che ha devastato.
Il mio voto:
4/5 stelline
Dati tecnici:
Titolo originale: The Mill on the Floss