“L’ora di Agathe”, di Anne Cathrine Bomann – la recensione
C’è qualcosa di solitario nel non vivere.
È come guardare gli altri che giocano mentre tu hai una gamba rotta.
Buonasera lettori!
Oggi vi porto con me a spasso tra la letteratura nordica contemporanea. Ovviamente, a farci da guida è la casa editrice Iperborea – tutti noi la conosciamo – con una delle sue ultime uscite: L’ora di Agathe di Anne Cathrine Bomann – un romanzo che ho davvero amato. Vi lascio il mio pensiero, fatemi sapere se anche voi lo avete letto.
Ogni Iperborea che si comincia a leggere – quantomeno per la mia esperienza – è il preludio un viaggio inaspettato. L’ora di Agathe, nella fattispecie, si è rivelato un viaggio bellissimo. Romanzo d’esordio di Anne Catherine Bomann – poetessa e psicologa danese – questo breve romanzo mette in scena due sostanziali punti di vista: la voce narrante maschile dello psicanalista che conta i pochi giorni che lo separano dalla pensione e la voce narrante femminile di Agathe, giovane donna che insiste per essere presa in cura proprio da lui. Le iniziali reticenze dell’uomo cadranno, a poco a poco, poiché Agathe inizierà a risvegliare lo spirito analitico sepolto del terapeuta con la sua storia, i suoi silenzi e le sue riflessioni (che lasciano, talvolta, meravigliati anche noi lettori). Durante le diverse sedute, infatti, il medico compirà una sorta di percorso, insieme alla sua paziente, arrivando a toccare tutta una serie di “nervi scoperti” che lo coinvolgeranno in prima persona.
Vi è la tematica delle aspettative, celata con arguzia all’interno della valigia immaginaria di Agathe – finché resta chiusa, nessuno sa la verità. Ma poi inciampo, la valigia mi cade e si apre, e a quel punto la verità è sotto gli occhi di tutti – nella quale il medico rivede le aspettative sociali e professionali che pesano sui suoi anni trascorsi; vi è la tematica della malinconia – un’amarezza che mi sfarfallava sotto le costole – germogliata e sempre più verdeggiante, mentre il giorno del pensionamento si avvicina; vi è il tema dell’inafferrabilità della vita, della mancanza di totale comprensione del suo senso più profondo – mi sembra di provarci, ma la vita continua a sfuggirmi. Eppure è proprio lì: così vicina che ne sento l’odore. Ma non riesco a capire come si entra. E, infine, incontriamo la solitudine, che incombe sulle pagine con la sua inevitabilità, con tutta la sua opprimente paura: Come si fa a capire di cosa si ha paura? Secondo la mia esperienza, si comincia dal proprio desiderio più grande.
In un crescendo di profondità e meditazione, di riflessione e analisi, quello a cui assistiamo non è un banale scambio tra paziente e medico, non si tratta di qualcosa di circoscritto all’interno di una stanza, di un’ora – l’ora di Agathe, per l’appunto – ma di un balzo ben più distante. Agathe e il suo medico leniscono vicendevolmente le proprie mancanze, limando i rispettivi cuori e alleggerendo, così, i giorni a venire. Nell’accettazione finale della decadenza incalzante dei nostri quotidiani, infatti, sembra quasi che ciascuno di noi possa chiudere il romanzo sentendolo molto più leggero e rilassato di quando abbiamo iniziato la lettura; proprio come se, insieme ad Agathe e agli altri personaggi, avessimo preso parte a una seduta terapeutica e rinvigorente.
Titolo: L’ora di Agathe
Titolo originale: Agathe
Autore: Anne Cathrine Bomann
Casa editrice: Iperborea
Prezzo: € 15,00
Pagine: 153
Voto: 4/5 stelline