Recensione: “Mansfield Park”, di Jane Austen
“Mansfield Park” è un grande teatro e la teatralizzazione del genere umano è al centro della trama di questo romanzo. Fanny Price, una giovane nata in una famiglia povera e numerosa, viene adottata da bambina dagli zii – Sir e Lady Bertram – e cresciuta nella lussuosa residenza di Mansfield. Nel corso dei suoi primi anni di crescita, assistiamo alla maturazione di un carattere remissivo e riflessivo in netta contrapposizione con quello delle cugine Maria e Julia, e al progressivo attaccamento nei confronti del secondogenito Edmund – suo cugino.
Il punto cruciale del romanzo, a mio avviso, viene sperimentato dal lettore nel primo libro: in seguito alla partenza di Sir Bertram, gli abitanti di Mansfield Park organizzeranno, insieme ad alcuni parenti e amici, una rassegna teatrale, decidendo di portare in scena “Giuramenti d’innamorati”, una licenziosa commedia dell’epoca. Ebbene, è proprio dietro al sipario che ciascun personaggio comincia a “mettere in
scena” se stesso, spogliandosi delle convenzioni e indossando dei panni che nessuno toglierà fino alla conclusione del romanzo (nonostante la rappresentazione teatrale non sia effettivamente mai andata in scena a causa dell’improvviso ritorno del padrone di casa), con tutte le conseguenze che ne deriveranno.
In “Mansfield Park” ogni personaggio recita un ruolo e ad esso resta ancorato sempre. Tutti, questo è ovvio, compresa Fanny Price: l’indissolubile eroina della perfezione porta avanti la forzata purezza delle sue scelte, dei suoi pensieri, delle sue parole non dette a discapito della simpatia che si potrebbe provare per lei se solo non fosse così costruita come coloro che, ogni due pagine, vengono da ella stessa mal giudicati.
Il mondo è un teatro e Jane Austen lo sa bene. Tra tutti, “Mansfield Park” è sempre stato l’unico romanzo austeniano a lasciarmi perplesso. È senz’altro il suo scritto meno romantico (basti solo pensare alla “dichiarazione” d’amore proposta da uno dei protagonisti nella penultima pagina del suo lavoro) e, forse, il più critico e complesso di tutti; per questi motivi, credo, il terzo romanzo pubblicato in vita da Jane Austen risulta essere anche quello più difficile da amare, sebbene ciascuno possa ritrovare in questa comédie humaine britannica un frammento della propria esistenza, un guizzo, un’illuminazione sui caratteri che abitano il mondo.
Pubblicato il 25 ottobre 2016 su inkbooks